L’uso precoce degli antinfiammatori taglia i ricoveri
L’Istituto Mario Negri punta sugli antinfiammatori ancor prima del tampone.
Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie: “Ricerca ancora non pubblicata, non ci pronunciamo”
Nella cura domiciliare dei pazienti Covid si accende una nuova speranza. Si tratta del protocollo messo a punto dall’Istituto Mario Negri e sperimentato a partire da novembre 2020 da una trentina di medici di famiglia su una platea di 500 pazienti.
Stando ai risultati della ricerca, in fase di pubblicazione, somministrare antinfiammatori all’insorgere dei sintomi, prima ancora del tampone, permetterebbe di ridurre i ricoveri in ospedale: solo due pazienti su 90 (2,2%) del gruppo di riferimento sono finiti in ospedale rispetto ai 13 su 90 (14,4%) del gruppo trattato secondo le raccomandazioni dell’Istituto della Sanità I giorni complessivi trascorsi in nosocomio crollano a 44 contro 481.
Il protocollo prevede parecchie novità rispetto al trattamento ordinario: in buona sostanza, la terapia inizia subito, prevenendo la moltiplicazione del virus, che progredisce molto velocemente proprio nei primi 7-10 giorni.
Al posto della Tachipirina, veniva suggerito l’uso dell’Aspirina, e in caso di dolori subentrava l’Aulin. Nei casi più seri, e sempre sotto la guida di un dottore, veniva suggerito l’utilizzo del cortisone.
Lo studio, i cui dati sono disponibili solo in preprint, mette a confronto l’esito clinico, di novanta pazienti colpiti da Covid e trattati all’esordio a domicilio, con il nuovo protocollo, senza aspettare il risultato del tampone nasofaringeo, con quello di altri novanta pazienti Covid comparabile per età, sesso e comorbilità trattati con diversi regimi terapeutici.
Dai risultati si evince che il tempo di guarigione dai sintomi peggiori, dalla febbre ai dolori muscolari e articolari, è pressoché uguale in ognuno dei due gruppi. Una media di 18 giorni per il trattamento raccomandato contro i 14 giorni dell’altro segmento, mentre i segni più leggeri della malattia, come la perdita dell’olfatto e l’affaticamento, persistono molto meno nei novanta pazienti curati con il protocollo in questione, il 23 per cento contro il 73%.
La grande differenza si registra sul punto più delicato: solo due pazienti su 90 (2,2%) del gruppo di riferimento sono finiti in ospedale rispetto ai 13 su 90 (14,4%) dell’altro gruppo. I giorni complessivi trascorsi in nosocomio crollano a 44 contro 481, e i costi cumulativi per i trattamenti ordinari, intensivi e subintensivi, sono di 28.000 euro contro 296.000.
Il commento del dottor Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie
“Non posso commentare una ricerca in preprint, perché si tratta di una bozza di articolo scientifico, che non è stato ancora valutato da una rivista accademica, spiega il dottor Cricelli ad HuffPost -. Quando si commenta uno studio bisogna tener conto non soltanto dei risultati, ma anche del metodo, di quante persone si compone il campione esaminato, quanti sono i casi omogenei, e così via. Quando lo studio verrà pubblicato ci pronunceremo. D’altronde la scienza non è fatta di annunci, ma di evidenze e prove”.
Ma quali sono le cure domiciliari che attualmente prescrivono i medici di famiglia?
Cricelli fa riferimento al documento recentemente pubblicato dalla Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie, intitolato “Indicazioni per il trattamento domiciliare dei pazienti con Covid-19″, nel quale si parla anche dei farmaci da somministrare. “L’OMS – si legge – raccomanda che i pazienti COVID-19 ricevano un trattamento per la febbre e dolore associato all’infezione. Il paracetamolo è suggerito come una scelta sicura e raccomandabile per la gestione precoce e domiciliare dello stato febbrile nei pazienti COVID-19.
I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), inclusi l’acido acetilsalicilico e l’ibuprofene, sono risultati efficaci nel trattamento della sindrome simil-influenzale COVID19 correlata; inoltre dimostrano un potenziale beneficio nel contrastare la tempesta citochinica proinfiammatoria generata dall’infezione, con conseguente riduzione del rischio di peggioramento delle manifestazioni respiratorie. Si consiglia di non eccedere le dosi raccomandate, ovvero tre grammi al giorno per il paracetamolo. Occorre prestare attenzione ai possibili effetti collaterali dovuti ai FANS che, come è noto, possono provocare danni renali, epatici e gastrici, e precipitare uno scompenso cardiaco. Si raccomanda inoltre, durante le malattie febbrili, di assicurare un adeguato stato di nutrizione e idratazione”.
I medici di base possono scegliere come curare i pazienti Covid
“Tachipirina e vigile attesa” è sempre la strategia vincente? Secondo una sentenza del Tar del Lazio, devono essere i medici di famiglia a prescrivere i farmaci che ritengono più opportuni nella cura domiciliare dei pazienti, regolandosi anche in base a chi hanno davanti.
L’ordinanza ha accolto le richieste di alcuni medici che contestavano la nota dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) dello scorso dicembre. Il documento prescriveva ai medici di gestire i pazienti a domicilio, nei primi giorni di malattia, unicamente con una “vigilante attesa” e somministrando farmaci fans e paracetamolo. La nota escludeva tutti gli altri farmaci generalmente utilizzati dai medici di medicina generale per i pazienti affetti da Covid-19.
I giudici amministrativi hanno però ritenuto fondato il ricorso, perché i medici ricorrenti “fanno valere il proprio diritto/dovere di prescrivere i farmaci che ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza; che non può essere compresso nell’ottica di una attesa, potenzialmente pregiudizievole sia per il paziente che, sebbene sotto profili diversi, per i medici stessi”.
Secondo Pier Luigi Bartoletti, vice segretario nazionale della Federazione Italiana dei Medici di Famiglia, intervistato da HuffPost all’inizio di marzo, si tratta di una decisione “di buon senso”. “Facciamo conto che una persona stamattina mi dice: ‘Ho fatto il tampone e sono positiva, ho la febbre da ieri sera. Cosa devo fare?’
Bisogna valutare dei parametri. Questa persona che oggi, seconda giornata, sta relativamente bene, come starà fra sei giorni? Spesso gli effetti più pericolosi si manifestano nella seconda parte della malattia.
Perciò dal 1° al 5° giorno avremo un quadro clinico. Dal 6° giorno potrebbe diventare così grave da dover andare in rianimazione”.
La domanda è pertanto cosa fare dal 1° al 5° giorno: “Seguendo le linee guida ministeriale si dovrebbe somministrare tachipirina in caso di febbre e restare in vigile attesa, ma può bastare? No, perché il medico deve poter valutare se ci sono fattori che possono suggerire la necessità di dare dei farmaci che non sono specifici, ma possono diminuire la gravità dei sintomi qualora si presentassero”.
Legittimo è sperimentare nuovi protocolli. La Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie consiglia sempre di attenersi alle evidenze scientifiche disponibili e alle raccomandazioni ufficiali del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità. E nelle Indicazioni scrive: “Sebbene i pazienti con forme da lievi a moderate di COVID-19 possano essere gestiti in modo efficiente a casa; nessuno studio è stato finora proposto, condotto o pubblicato sulla terapia domiciliare dei pazienti con COVID-19”.