Occupazione femminile: un problema non solo italiano
Con la pandemia, cala ancora il numero di donne occupate
Già nel dicembre 2020 l’Istat aveva certificato, una flessione complessiva dei posti di lavoro, dello 0,4% rispetto al mese di novembre. Una perdita di posti di lavoro pari a 101 mila occupati, dei quali il 98% donne.
Esaminando la situazione del totale anno 2020, salta all’occhio, la grave caduta di posti di lavoro. Si tratta di 440 mila unità, delle quali ben 312mila erano relative ad occupazione femminile persa. Ciò accade malgrado l’occupazione femminile sia già del 20% più bassa, rispetto a quella degli uomini.
Il problema della disoccupazione, nel nostro Paese, è sempre più grave e lo scenario futuro non tranquillizza affatto.
Se esaminiamo la situazione dell’occupazione, in particolare delle donne italiane, lo scenario diventa drammatico.
Infatti confrontando tali numeri, scopriamo che siamo in generale penultimi in Europa per occupazione femminile. Inoltre risultiamo addirittura ultimi, nella fascia d’età tra i 25 e 34 anni!! In particolare si evidenzia che una donna su cinque, smette di lavorare dopo aver avuto un figlio.
Tutto ciò accade malgrado che, i redditi complessivi delle donne lavoratrici, nel mercato del lavoro, sono mediamente più bassi del 25% rispetto a quelli degli uomini. Cosa che dipende molto, anche, dalla tipologia dei contratti destinati alle donne; infatti il lavoro part-time riguarda il 73,2% le donne. Tale situazione, potrebbe trovare giustificazione, se derivasse da una scelta della donna (futura madre), ma nella realtà non trova che altre giustificazioni, essendo nel 60,4% dei casi, un part-time non richiesto.
Dobbiamo investire in nidi pubblici, asili e scuole a tempo pieno. Alleggerire il carico attualmente sulle spalle delle donne
Un quadro preoccupante quello dell’occupazione in Italia, visto che in Europa siamo anche fra le nazioni che contano meno laureati (poco più del 19% contro una media UE che si attesta al 33,2%). In Italia è in corso una vera e propria emergenza lavoro per i giovani. Sono loro, infatti, secondo i dati Eurostat, una delle fasce della popolazione, più colpita dalla crisi.
Siamo il paese europeo con il maggior numero di giovani che non studiano né lavorano (i cosiddetti NEET, Not in Education, Employment or Training). Siamo il paese dell’UE in cui questo dato è il più grave, con uno stacco di circa 10 punti percentuali in più rispetto alla media. Secondo i dati del 2019, i giovani fra i 15 e i 29 anni che non lavoravano, né erano inseriti in percorsi di formazione, erano più di 2 milioni.
Difatti il tasso di disoccupazione giovanile in Italia a settembre 2020, era pari al 29,7% – a fronte di una media europea del 17,1%.
E per le donne più giovani la preoccupazione è ancora maggiore
Malgrado nelle donne, l’istruzione sia percepita come il principale fattore protettivo, il nostro paese presenta un importante gap di genere nel numero dei NEET. In Italia, si laureano un terzo delle giovani, a fronte di solo un quinto dei ragazzi. Mentre le giovani che sono nella condizione NEET sono il 24,3% contro il 20,2% dei maschi. Si rischia in Italia di avere entro la fine dell’anno, 1 milione e 140 mila donne Neet.
Dai dati ISTAT sulla disoccupazione giovanile in Italia alle cause e soluzioni secondo i professionisti dell’istruzione, scuola e università e mondo del lavoro.
Elemento fondamentale, per aumentare le possibilità dei giovani di inserirsi nel mondo del lavoro, è quello di sviluppare le competenze, che sono rilevanti per il mercato del lavoro. Vari Stati membri stanno rafforzando un approccio basato sulle competenze, con riforme dei programmi scolastici, mirate al miglioramento delle competenze didattiche di base. L’obiettivo è quello di garantire un insegnamento di alta qualità, al fine di aumentare la flessibilità e la permeabilità, dei percorsi di apprendimento.
La Commissione europea per fronteggiare la crisi economica e sociale procurata dalla pandemia, il 1° luglio 2020 ha presentato un pacchetto di misure volto a sostenere l’occupazione giovanile; con il fine d’adeguare la strategia dell’UE, ai cambiamenti in corso nel mondo del lavoro e delle competenze. Del pacchetto, fa parte anche la proposta di raccomandazione del Consiglio, volta a rafforzare lo strumento “Garanzia per i giovani” (COM(2020)277), istituito con la raccomandazione del Consiglio del 22 aprile 2013.
Purtroppo si nota l’assenza di azioni di supporto per agevolare il lavoro alle giovani donne
Tale proposta aggiorna l’obiettivo principale della Garanzia, amplia la fascia di età includendo i giovani di età compresa tra i 25 e i 29 anni, ma nulla norma per riequilibrare la disoccupazione e sottoccupazione di genere. Bensì si limita a riportare una distinzione tra i NEET temporanei e i NEET di lungo termine. Inoltre fa e raccomanda agli Stati membri, di strutturare i loro sistemi di garanzia per i giovani in quattro fasi, quali la mappatura, il coinvolgimento, la preparazione e l’offerta. Proponendosi d’organizzarli conformemente alle situazioni nazionali, regionali e locali, tenendo presente il genere e la diversità dei giovani ai quali sono destinate le misure.
Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, 7 operatori sanitari su 10 sono donne, ma di queste meno di 3 su 10 occupano una posizione dirigenziale apicale. Sono in netta maggioranza gli uomini ai vertici delle aziende sanitarie pubbliche (ASL e Aziende Ospedaliere) e private (case di cura), delle società farmaceutiche, delle Facoltà universitarie preposte alla formazione dei professionisti della salute, delle società scientifiche.
Il mondo della sanità rappresenta uno dei settori dove è più evidente l’asimmetria tra i generi nelle posizioni apicali. Nonostante la loro netta prevalenza nella sanità, le donne restano ancora oggi ai margini dei processi decisionali.