Terapia domiciliare: per tutti i cittadini malati di covid19
L’epidemia va affrontata nelle abitazioni dei malati non in ospedale
E’ oramai un anno, che lo sappiamo. Il Covid19 va sconfitto senza ospedalizzazione (almeno per i malati senza comorbilità), curandolo a domicilio sin dai primi accenni di sintomi d’infezione da Covid. Così come occorre accettare che la diffusione del virus, va controllata anticipatamente, anche utilizzando restrizioni e limitazioni della libera circolazione.
Se le ordinanze tengono in debito conto sia la funzione del Ro (numero di riproduzione di una malattia infettiva) sia quella della Rt (curva che rappresenta un andamento di R nel corso del tempo). L’obiettivo deve essere quello di non far superare all’indice Rt lo 0,75, in modo che, malgrado il tempo che passa tra decisione e effettiva limitazione, l’indice resti vicino ad 1. Occorre quindi che si tenga conto che l’indice sale più rapidamente, quando Ro è più alto.
Insomma iI covid-19 genera una malattia, che deve essere affrontata già da i primi sintomi nella propria casa.
Occorre dunque evitare che il malato si aggravi, prima di avere diagnosi certe date dall’esito di tardivi tamponi. Tale procedure generano infatti in molti casi, un peggioramento verso una forma così grave, che costringe al ricovero in ospedale, alcuni dei quali addirittura in terapia intensiva.
Pur avendo la consapevolezza di ciò che accade, invece di attivare e potenziare le USCA (normate e finanziate quasi un anno fa), perfezionando il protocollo, con uno schema per un accurata diagnosi, una procedura terapeutica, e una cura suggerita con le indicazioni per una precisa posologia. Occorre coinvolgere i medici di famiglia, condividendo con loro e soprattutto con quelli che hanno il compito di curare a domicilio, le cure più efficaci. Sembra ormai chiaro che siamo di fronte alla terza ondata e non possiamo affidarci alla buona volontà e all’abnegazioni di poche Usca o organizzazioni similari, esistenti nei territori.
Il sistema che stiamo usando, sovraccarica a dismisura le struttura ospedaliere, generando la necessità di “chiudere la stalla”, quando il virus si è troppo diffuso, non riuscendo comunque a contenere le richieste di ricovero. Così facendo si generano alti costi sia economici, sia umani (sofferenze e morti). Si spendono soldi in ampliamenti d’ospedali e in ospedali da campo, costringendo il personale sanitario a rischi e ad uno stress incredibile.
Non si può pensare “d’arginare a valle la marea”, occorre bensì lavorare a monte, evitando così il collasso a valle
Noi crediamo che sia ormai irrimandabile, un chiaro ed elaborato protocollo nazionale, per una immediata cura domiciliare. Così come vada al più presto rafforzata, la medicina territoriale, attraverso la creazione in ogni Regione delle unità mediche pubbliche di diagnosi e cura domiciliare del covid-19 (USCA), previste dalla legge nazionale, ma istituite ed in quantità insufficiente, solo in alcune Regioni.
Così come occorre investire in cure alternative ai Vaccini, visto la lunghezza dei tempi della vaccinazione di massa e la sempre più rapida diffusione di varianti del virus. Molte sono le strade da seguire, alcune delle quali abbiamo già scritto abbastanza https://www.stellenelcuore.it/anticorpi-mono-policlonali-e-staminali-cure-urgenti-da-utilizzare/ https://www.stellenelcuore.it/vaccini-e-monoclonali-dovrebbero-viaggiare-insieme/ https://www.stellenelcuore.it/covid-perche-stoppati-gli-anticorpi-monoclonali/. A quelle ci sembra giusto aggiungere un altra novità interessante, di cui si sta parlando poco.
Uso di farmaci già esistenti come l’ivermectina
Nel momento attuale di pandemia globale, si stanno intensificando gli sforzi, per individuare farmaci in grado di combattere l’infezione da Covid-19. Tra i farmaci che stanno rivelano la loro efficacia contro questa patologia c’è anche l’ivermectina.
Si tratta di un antiparassitario, utilizzato nella cura di alcune gravi malattie tropicali. Un farmaco già usato come antivirale, brevettato nel 2009 da un gruppo di ricercatori italiani, dell’Istituto di Biofisica (Ibf) del CNR di Milano. Della capacità dell’ivermectina di inibire la replicazione del SARS-CoV-2 “in vitro”, entro 48 ore dall’infezione, ne ha parlato uno studio australiano pubblicato sulla rivista scientifica Antiviral Research nel giugno dell’anno scorso.
Le sperimentazioni dell’ivermectina contro il Covid, sia all’estero che in Italia, stanno già mostrando dati e sviluppi significativi. I medici che stanno usando l’ivermectina in funzione anti Covid, sembra stiano ottenendo ottimi risultati. C’è un interesse diffuso da parte di medici italiani, ma anche stranieri, sulle procedure e i protocolli, per la somministrazione d’ivermectina ai pazienti Covid 19.
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Allegati:
Attività antivirale dell’ivermectina
—Quali secondo Lei gli sviluppi e le prospettive dell’uso di questa molecola in funzione antivirale?
— L’azione antivirale dell’ivermectina contro il Covid, che è un virus a RNA, non è ancora del tutto nota a livello molecolare. Si pensa che potrebbe bloccare il trasporto delle proteine virali verso il nucleo della cellula ospite, che è un’azione essenziale per propagare l’infezione.
Tuttavia, in un’analisi che coinvolge 36 studi, 255 autori e più di 10.000 pazienti sembra che l’ivermectina riduca notevolmente la carica virale dei pazienti, soprattutto se somministrata nelle fasi iniziali della malattia. Inoltre, alcuni articoli scientifici riportano che, se usata come profilassi, è in grado di ridurre l’incidenza di infezione. Quindi potrebbe essere usata non solo come cura, ma anche come profilassi. Ovviamente sono tutti studi che devono essere confermati e approvati dagli appositi enti di controllo.
— Tra i risultati ottenuti da sperimentazioni “in vitro” e “in vivo” ci sono differenze?
— La differenza maggiore è la complessità dell’organismo utilizzato, ovviamente! Per “in vitro” s’intendono gli studi al di fuori di un organismo vivente, solitamente proteine, tessuti, organi o cellule isolate. I test “in vivo” servono inizialmente a capire se un farmaco può essere tossico, cioè può fare male ad un organismo animale o umano.
Ovviamente passando da sistemi sperimentali più semplici ad altri più complessi i risultati possono cambiare, ci sono migliaia di variabili in gioco. Tuttavia, almeno nel caso dell’ivermectina, sembra che col dosaggio sperimentato ad oggi sui volontari sani o su pazienti Covid, si stiano ottenendo risultati promettenti, senza grossi effetti collaterali. Ricordiamoci che l’ivermectina è un farmaco noto, e che ad oggi sono stati somministrati circa 3.7 miliardi di dosi da quando è stata sviluppata nel 1987 come anti-parassitario.
Mancanza di finanziamenti
— Com’è stata recepita la sua scoperta a livello internazionale? E a livello italiano?
— Con la diffusione di una nuova pandemia, i primi rimedi che si cercano nell’immediato sono basati su farmaci già usati sull’uomo, per cui l’aver brevettato l’uso dell’ivermectina come antivirale, è servito a suggerirla alla comunità medica come possibile farmaco da testare contro il Covid-19.